AIDC - Sezione di Milano
Denuncia del 06/05/2019
Dell’incompatibilità della norma e della prassi nazionale in tema di rettifica dell’IVA derivante dal mancato pagamento del corrispettivo
Presidente:
Savorana Dott. Alessandro
Componenti:
Antonini Dott. Gianfranco, Centore Prof. Avv. Paolo, Holzmiller Dott. Giuseppe (delegato ai rapporti esterni), Piazza Prof. Dott. Marco, Poggi Longostrevi Dott. Stefano (Segretario e delegato alla divulgazione),
Santacroce Prof. Avv. Benedetto, Vismara Prof. Avv. Fabrizio, Cimaz Dott. Oliviero
Esperti:
Bozzi Avv. Aldo, Capelli Prof. Avv. Fausto, Falsitta Prof. Avv. Gaspare, Marzorati Dott. Guido, Rizzardi Dott. Raffaele
a cura di:
Paolo Centore – relatore ed estensore
Giuseppe Holzmiller - correlatore
Sommario
- Riassunto della segnalazione
- Le norme nazionali ed unionali di riferimento
- La prassi dell’Autorità fiscale e l’orientamento della giurisprudenza nazionale
- I motivi di incompatibilità: le indicazioni della giurisprudenza della Corte dell’Unione
- Conclusioni.
Riassunto della segnalazione
Il mancato pagamento del corrispettivo pattuito fra le parti rappresenta una causa diminutiva della base imponibile originariamente determinata e della relativa imposta, ammessa dall’articolo 26, comma 2, del d.p.r. n. 633 del 1972 (il Decreto IVA).
L’esercizio effettivo di tale facoltà è regolato partitamente per i crediti inesigibili vantati verso clienti:
in procedura concorsuale o in seguito ad accordi di ristrutturazione del debito;
in conseguenza di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.
Nel caso (i), la prassi dell’Autorità fiscale interpreta la norma nel senso che occorre attendere la chiusura della procedura concorsuale ovvero l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito.
Nel caso (ii), in applicazione della procedura particolarmente articolata prevista dalla norma nazionale, la prassi interpretativa ha precisato:
“In linea generale (…) non è possibile emettere note di variazione in diminuzione dell'IVA per antieconomicità dell'avvio della procedura esecutiva, essendo necessario dare prova di aver esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito senza trovare soddisfacimento.”.
Tali interpretazioni ufficiali producono l’effetto di rinviare nel tempo il diritto di recupero dell’imposta versata tempestivamente all’Erario e addebitata al cliente, ma da questi non corrisposta, anche quando, anticipatamente agli eventi imposti, sia manifesta la sussistenza di un elemento oggettivo, coerente con il principio di certezza della perdita del credito.
L’incompatibilità della norma nazionale, come attualmente interpretata ed applicata, può essere superata sollecitando il legislatore nazionale ad una modifica normativa che renda effettivo e, quindi, tempestivo il diritto di rettifica e di recupero dell’imposta assolta nei confronti dell’Erario ma non versata da parte del cliente.
A tal fine si può suggerire il seguente testo normativo:
Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno, in tutto o in parte, per mancato pagamento in tutto o in parte del corrispettivo pattuito, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25:
in presenza di elementi oggettivi che determinino l’irrecuperabilità del credito, nel momento della sua verifica;
in ogni caso, per i crediti non superiori, complessivamente, ad € ____, quando sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del termine di pagamento previsto contrattualmente.
Il creditore deve preventivamente comunicare al debitore il proprio intento di annullare in tutto o in parte l’IVA all’acquirente del bene o del servizio, se quest’ultimo è un soggetto passivo, ai fini della rettifica della detrazione dell’importo dell’IVA che questi abbia potuto effettuare.
Le norme nazionali ed unionali di riferimento
L’articolo 26, comma 1, del decreto IVA prevede:
- 1. Le disposizioni degli articoli 21 e seguenti devono essere osservate, in relazione al maggiore ammontare, tutte le volte che successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24 l’ammontare imponibile di un'operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione.
L’articolo 26, comma 2, del Decreto IVA prevede:
- 2. Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25.
L’articolo 26, comma 5, del Decreto IVA prevede:
- 5. Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'articolo 23 o dell'articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.
L’articolo 26, comma 12, del Decreto IVA prevede:
- 12. Ai fini del comma 2 una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:
- a) nell'ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
- b) nell'ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
- c) nell'ipotesi in cui, dopo che per tre volte l'asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.
Le disposizioni nazionali riprendono il contenuto degli articoli 90 e 185 della Direttiva CE n. 112 del 2006 (la Direttiva) come segue:
Articolo 90
- 1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.
- 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1.
Articolo 185
- 1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell'IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.
- 2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all'articolo 16.
In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica.
La prassi dell’Autorità fiscale e l’orientamento della giurisprudenza nazionale
Il legislatore nazionale ha introdotto la norma prevista nell’art. 26, comma 2 nel testo del Decreto IVA entrato in vigore nel 1973. Tuttavia, sino alla modifica introdotta dall’articolo 2, comma 1, lettera c-bis) del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30) la rettifica era ammessa solo nel caso di “dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente …”, senza riferimento, cioè, all’ipotesi del mancato pagamento.
L’originaria assenza del riferimento al mancato pagamento, quale causa diminutiva della base imponibile dell’operazione può trovare giustificazione in due ragioni:
Considerando che il riferimento al “mancato pagamento” appare – a livello di legislazione dell’Unione – la prima volta con la proposta di Sesta Direttiva e, precisamente, nell’art. 11, parte C, della sesta Direttiva, come commentata dall’Explanatory Memorandum;
Per la natura dell’IVA come imposta sul consumo, per la quale l’evento del mancato pagamento può essere ritenuto ininfluente, ove si ritenga che il presupposto impositivo sia collegato unicamente alla condizione del passaggio del bene o del servizio al consumo, come indica il vigente articolo 1, par. 2, della Direttiva.
Quest’ultima osservazione può spiegare la prudente interpretazione dell’Autorità fiscale italiana, diretta ad evitare frodi ed evasioni fiscali, avuto riguardo alla impossibilità pratica di accertare, per ogni situazione, la veridicità del mancato pagamento.
Tuttavia, non si deve dimenticare che consumo ed onerosità si manifestano come elementi concorrenti della rilevanza, e consentono di annotare che:
“quando il diritto sostanziale tassa unicamente il corrispettivo effettivamente pagato dal destinatario per merci o servizi, mentre la tecnica impositiva fa riferimento al corrispettivo pattuito, i due sistemi devono, prima o poi, essere conciliati. Ciò viene garantito dall’art. 90, paragrafo 1, della Direttiva IVA, il quale prevede la corrispondente rettifica del debito d’imposta iniziale dell’impresa che eroga la prestazione.” .
In più va tenuto presente il bilanciamento necessario fra quanto indicato dall’art. 273 della Direttiva e il divieto di rendere impossibile, ovvero particolarmente oneroso l’esercizio del diritto riconosciuto dal diritto dell’Unione.
Proprio dalla giurisprudenza della Corte europea giunge una precisa indicazione sul tema, laddove si è osservato:
“Anche se gli Stati membri possono prevedere che l’esercizio del diritto alla riduzione di tale base imponibile sia subordinato al compimento di talune formalità che consentono di dimostrare in particolare che, successivamente alla conclusione dell’operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non è stata definitivamente percepita dal soggetto passivo e che quest’ultimo poteva invocare una delle situazioni previste all’art. 90, paragrafo 1, della Direttiva IVA, le misure così adottate non devono eccedere quanto necessario a tale giustificazione, cosa che spetta al giudice nazionale verificare”.
Ciò nonostante, la posizione pregressa e perdurante dell’Autorità fiscale resta scolpita nella circ. 17 aprile 2000, n, 77, ove si osserva:
Per i crediti verso procedure concorsuali:
Per quanto attiene, in particolare, all'ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali, rimaste infruttuose, dell'importo fatturato, è da rilevare, in via generale, che tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.
Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l'acclarata insolvenza dell'importo fatturato e l'assoggettamento del debitore a procedura, dall'altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso.
Per i crediti cui si rendono applicabili le procedure esecutive individuali:
Nell'ipotesi di mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure esecutive rimaste infruttuose, si osserva, in tesi generale, che il presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene ad esistenza quando il credito del cedente del bene o prestatore del servizio non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell'esecutato ovvero quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l'insussistenza di beni da assoggettare all'esecuzione.
Si ritiene, inoltre, che possono essere ricomprese nella previsione normativa in argomento anche le procedure esecutive degli obblighi di consegna o rilascio, ad eccezione dei casi di prestazione sostitutiva (quindi configurabile come una prestazione resa), così come nell'ipotesi di “datio in solutum", previa accettazione del creditore, prevista dall'art. 1197 c.c., o nel caso di "novazione oggettiva" ex art. 1230 c.c., o di “conversione del negozio nullo” ex art. 1424 c.c..
Anche per le suddette procedure esecutive in forma specifica l'infruttuosità, derivante dalla mancata consegna o rilascio del bene, dovrà essere accertata e documentata dall’autorità preposta alla procedura.
La posizione dell’Autorità fiscale trova conforto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza 16 dicembre 2011, n. 27136, secondo cui:
“In tema di IVA, la variazione prevista dal secondo comma dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con riguardo al caso in cui sia stata emessa fattura per un'operazione, successivamente venuta meno per mancato pagamento a causa di procedure esecutive rimaste infruttuose, richiede, quale presupposto indefettibile, che la procedura medesima non solo abbia avuto effettivamente inizio, ma anche definitiva conclusione, sicché sia certo - almeno in senso relativo in quanto non può escludersi che il debitore possa in futuro tornare "in bonis" l'esito infruttuoso dell'esecuzione giudiziale e non vi sia dubbio alcuno sull'incapienza (totale o parziale) del patrimonio del debitore e sulla definitività dell'insoluto.”.
I motivi di incompatibilità: le indicazioni della giurisprudenza della Corte dell’Unione
Per l’esame critico della norma oggetto di segnalazione, va osservato, in primo luogo, che il legislatore nazionale non ha esercitato la facoltà di deroga prevista dal par. 2 dell’art. 90, introducendo nell’art. 26, comma 2, d.p.r. n. 633 del 1972, il diritto del cedente o prestatore di rettificare l’Iva già fatturata al cessionario o utilizzatore, in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo contrattualmente pattuito da parte di quest’ultimo.
Di conseguenza:
“ (…) l’art. 90, paragrafo 1, della Direttiva IVA, che riguarda i casi di annullamento, di recesso, di risoluzione, di mancato pagamento totale o parziale o di riduzione del prezzo successiva al momento in cui l’operazione viene effettuata, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile e, quindi, l’importo dell’IVA dovuta dal soggetto passivo ogni volta che, successivamente alla conclusione di un’operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non viene percepita dal soggetto passivo. Tale disposizione costituisce l’espressione di un principio fondamentale della Direttiva IVA, secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il cui corollario consiste nel fatto che l’amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo di IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (sentenza Almos Agrárkülkereskedelmi, C-337/13, EU: C: 2014: 328, punto 22).”.
L’interpretazione dell’Autorità fiscale e della giurisprudenza introduce una limitazione del campo di azione della rettifica non prevista dalla Direttiva IVA, che si limita a richiamare l’ipotesi generale del “non pagamento totale o parziale”.
Il tema è stato ben individuato dall’Avvocato Generale nelle Conclusioni nella causa Di Maura cit., e dalla Corte dell’Unione nella sentenza successivamente resa, ove si osserva:
“(…) contrariamente a quanto sostengono i governi italiano e del Regno Unito, tale motivazione, come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi da 32 a 44 delle sue conclusioni, non può valere a rimettere in discussione la giurisprudenza citata ai punti 17 e 18 della presente sentenza, nel senso che gli Stati membri sarebbero legittimati a escludere del tutto la riduzione della base imponibile dell’IVA. A tale proposito, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che le eccezioni devono essere interpretate in maniera restrittiva (v., in tal senso, sentenze del 20 giugno 2002, Commissione/Germania, C-287/00, EU:C:2002:388, punto 47; del 14 giugno 2007, Horizon College, C-434/05, EU:C:2007:343, punto 16, e del 21 marzo 2013, PFC Clinic, C-91/12, EU:C:2013:198, punto 23). Ebbene, dallo stesso testo dell’articolo 11, parte C, paragrafo 1, secondo comma, della sesta direttiva si evince che gli Stati membri, se è vero che possono derogare alla rettifica della base imponibile prevista al primo comma, non hanno tuttavia ricevuto dal legislatore dell’Unione la facoltà di escludere del tutto tale rettifica. Tale conclusione è confermata da un’interpretazione teleologica dell’articolo 11, parte C, paragrafo 1, secondo comma, della sesta direttiva. Sebbene, infatti, sia opportuno che gli Stati membri abbiano la possibilità di far fronte all’incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura, ricordata al punto 16 della presente sentenza, una simile facoltà di deroga non può estendersi al di là di tale incertezza, e in particolare alla questione se una riduzione della base imponibile possa non essere effettuata in caso di non pagamento. Del resto, ammettere la possibilità per gli Stati membri di escludere qualsiasi riduzione della base imponibile dell’IVA sarebbe contrario al principio di neutralità dell’IVA, da cui deriva in particolare che, nella sua qualità di collettore d’imposta per conto dello Stato, l’imprenditore dev’essere sgravato interamente dall’onere dell’imposta dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche a loro volta soggette a IVA (v., in tal senso, sentenze del 13 marzo 2008, Securenta, C-437/06, EU:C:2008:166, punto 25, e del 13 marzo 2014, Malburg, C-204/13, EU:C:2014:147, punto 41).”.
Il tema è ripreso dalla successiva sentenza 22 febbraio 2018, T-2, C-396/16, EU:C:2018:109, ove si annota (punto 40):
“Ove per contro tale giudice dovesse constatare che le obbligazioni del debitore sono state ridotte in modo che la parte corrispondente dei crediti dei fornitori di quest’ultimo è divenuta definitivamente irrecuperabile, le deroghe di cui all’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva IVA, in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, non possono trovare applicazione.”.
Il leit motiv è chiaro, ed esso è il carattere definitivo del non pagamento di una fattura. È un tema che riporta alla genesi della norma, ricordando che la disposizione sulla variazione in diminuzione per il mancato pagamento del corrispettivo, introdotta per la prima volta nell’art. 11, parte C, della sesta Direttiva, non ha trovato, all’origine, consenso unanime: tanto è vero che il Comitato Economico e Sociale (CES), esaminando il testo proposto dalla Commissione europea, ha criticato tale norma osservando che le transazioni non pagate risulterebbero parzialmente tassate, con un effetto distorsivo, soprattutto in periodi di recessione.
Tuttavia, questa posizione, che esprime esattamente la tesi del collegamento della debenza alla (sola) esistenza dell’operazione economica, senza curarsi degli eventi riguardanti il pagamento del corrispettivo pattuito fra le parti, non è stata condivisa dal Consiglio europeo, che ha approvato la disposizione nell’attuale testo normativo, nel quale è prevista la riduzione della base imponibile anche per effetto del mancato pagamento.
Anche riguardo alla inopportunità della procedura di esecuzione, evidente laddove il credito vantato sia di modesto importo, l’Autorità fiscale ha ribadito che non è possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’Iva per antieconomicità dell’avvio della procedura esecutiva, essendo comunque necessario dare prova di aver esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito senza trovare soddisfacimento.
Conclusioni
Le condizioni poste dalla norma euro-unionale, come interpretata dalla Corte dell’Unione, debbono essere dirette a dimostrare che, successivamente alla conclusione dell’operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non è stata definitivamente percepita dal soggetto passivo.
Di conseguenza, tali norme:
devono essere oggettive e, dunque, devono individuare un “fatto” dal quale si possa con ragionevole certezza trarre la conclusione voluta dalla norma, cioè, il sopravvenuto mancato pagamento del corrispettivo;
non possono costringere, in ogni caso, cioè, anche in presenza di tali elementi obiettivi, all’esperimento dell’azione esecutiva o all’attesa della chiusura di una procedura concorsuale, sostenendo che la ratio della previsione contenuta nell’art. 26, comma 2, sia di evitare accordi fraudolenti ai danni dell’Erario, che possano far apparire come irrecuperabile un credito che in realtà non è tale.
L’imposizione di un’azione esecutiva, sino al suo esito finale, e l’attesa della formale chiusura della procedura concorsuale, come garanzia dell’autenticità del fatto che il mancato pagamento di un corrispettivo sia effettivo, e cioè dovuto a incapacità ad adempiere, appare sproporzionato rispetto all’effetto che intende proteggere la norma euro – unionale. In più, l’irrazionalità di simile interpretazione risulta evidente laddove si ponga mente al fatto che la variazione in diminuzione:
“costituisce l’espressione di un principio fondamentale della Direttiva IVA, secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il cui corollario consiste nel fatto che l’amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo di IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (v., in tal senso, sentenza Kraft Foods Polska, C-588/10, EU:C:2012:40, punti 26 e 27)”.
Ed ancora, ricordando che la semplificazione è un obiettivo perseguito dalla Direttiva e tutelato dalla giurisprudenza dell’Unione, si deve riconoscere rilevanza anche ad altri presupposti per l’emissione delle note di variazione in diminuzione, non in astratto, ma secondo le circostanze del caso concreto, tenendo conto del principio unionale di proporzionalità e del criterio di diligenza.
Anche sotto il profilo della antieconomicità, si deve rilevare irrazionalità della posizione assunta dall’Autorità fiscale ove si richiamino, in via sistematica, i principi contenuti nella circolare 1 agosto 2013, n. 26/E, che definisce il concetto di antieconomicità della riscossione del credito per la diversa disciplina della deducibilità della perdita su crediti di “modesta entità” ai fini delle imposte dirette (articolo 101 del Tuir).
Occorre, dunque, intervenire normativamente prevedendo la modifica dell’attuale testo dell’articolo 26, comma 2, del Decreto IVA, come segue:
Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno, in tutto o in parte, per mancato pagamento in tutto o in parte del corrispettivo pattuito, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25:
in presenza di elementi oggettivi che determinino l’irrecuperabilità del credito, nel momento della sua verifica;
in ogni caso, per i crediti non superiori, complessivamente, ad € ____, quando sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del termine di pagamento previsto contrattualmente.
Il creditore deve preventivamente comunicare al debitore il proprio intento di annullare in tutto o in parte l’IVA all’acquirente del bene o del servizio, se quest’ultimo è un soggetto passivo, ai fini della rettifica della detrazione dell’importo dell’IVA che questi abbia potuto effettuare.
La valutazione dell’irrecuperabilità del credito e, con essa, la rettifica della base imponibile e della relativa imposta, sono dipendenti dalla ricognizione e dalla manifestazione, in quel momento, degli elementi oggettivi raccolti responsabilmente e con la dovuta diligenza dall’operatore.
È opportuno, infine, sottolineare che la proposta di modifica normativa non esclude l’ipotesi in cui il credito, successivamente al momento in cui viene considerato irrecuperabile, sia onorato, mediante pagamento da parte del debitore. In questa evenienza interviene la norma a regime contenuta nell’articolo 26, comma 1, del Decreto IVA, ove si prevede l’obbligo di emissione della fattura per effetto di una causa aumentativa della base imponibile originariamente fissata fra le parti.
Si procede, così, al ripristino dell’ammontare del credito in precedenza depennato e successivamente corrisposto, con il risultato di piena tutela degli interessi dell’Erario.